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L’arte della cravatta. La storia della cooperativa Art Lining, workers buyout che investe nell’economia circolare.

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“La cravatta è l’uomo; è attraverso di essa che l’uomo si rivela e manifesta. Per conoscere un uomo, è sufficiente un colpo d’occhio su questa parte di lui che unisce la testa al petto”, scriveva Honoré de Balzac. Forse nessuno può comprendere le parole dello scrittore francese meglio degli otto soci lavoratori della cooperativa Art Lining, nata nel 2009 a Sant’Ilario d’Enza, in provincia di Reggio Emilia, da un progetto di workers buyout. Sì, perché alla cravatta, o meglio alla “anima della cravatta”, quelli della Art Lining hanno dedicato gran parte della loro vita. Come ci racconta, in questa breve intervista, Stefania Ghidoni, presidente della cooperativa emiliana.

 

Presidente Ghidoni, per cominciare, ci può dire che cosa fate e cosa si intende per “anima della cravatta”?

Art Lining opera nel settore manifatturiero del tessile e si occupa principalmente di produzione d’interni per cravatte, ovvero quella parte che noi chiamiamo appunto “anima della cravatta” e che serve per dare sostegno alla stessa. I nostri clienti sono i grandi brand dell’alta moda internazionale. Al di là di questo, però, la mission di una cooperativa come la nostra resta una e una sola: preservare i posti di lavoro di tutti i soci lavoratori che, nel nostro caso, sono per la maggior parte donne.

 

Qual è la vostro punto di forza? 

Il know-how aziendale è sempre stato il nostro punto di forza. In tutti questi anni di attività, abbiamo  cercato di valorizzare le nostre competenze, per offrire un supporto professionale alla clientela. Ma non solo. Abbiamo “lavorato” sulla qualità dei prodotti, facendo ricorso a delle tecnologie legate alla precisione del taglio che garantiscono la perfezione millimetrica, fondamentale nell’ambito produttivo in cui operiamo. 

 

Ci dice qualcosa di più sulle tecnologie che utilizzate?

Quando parliamo della nostra produzione, stiamo parlando di un pezzo di tessuto che dà corpo alla cravatta e la cui tecnologia, legata alle fibre, consente alla cravatta stessa di ritornare nella sua forma originaria anche dopo il nodo. La qualità della nostra “anima” e del taglio agevolano, per quanto concerne il confezionista, la fabbricazione del prodotto finito. E il tutto accade perché ci avvaliamo di un impianto  industriale di alto livello, certificato industria 4.0.   

 

Il vostro, per quanto riguarda i wbo, si può considerare quasi un progetto pilota…

Sì, diciamo che con Art Lining si sono gettate le basi per i wbo che sono venuti dopo di noi. Questo ci ha dato una certa visibilità che, in un momento di grande difficoltà del settore tessile, che paga ancora lo scotto della pandemia e della crisi energetica, ci piacerebbe “sfruttare” per mettere sotto i riflettori un  mondo, quello della manifattura, ricco di competenze e professionalità che rischiamo di perdere. In tal senso, ci possiamo sentire orgogliosi del fatto che la nostra filiera tessile, a monte e a valle, abbia beneficiato del progetto che è stato portato avanti grazie all’attività della Art Lining. Stiamo parlando di piccole aziende, con un patrimonio professionale immenso, che avrebbero chiuso per sempre. 

 

In questo scenario non proprio favorevole per il settore tessile, come vede il futuro della “sua” cooperativa? 

Stiamo puntando l’attenzione su vari progetti che guardano ad un ampliamento e ad una diversificazione della nostra attività, consapevoli di poter contare su una buona struttura produttiva, che comprende un capannone di 3.000 mq di proprietà e impianti e attrezzature fortemente innovativi.  

 

Il progetto europeo Small2big ha permesso a CFI di finanziare la vostra azienda. Che benefici ne avete tratto? 

Il progetto Small2big ci consentirà di affrontare le sfide dei prossimi anni. In particolare, oltre a consolidare l’assetto finanziario della cooperativa, ci permetterà di dare l’avvio al piano di investimento di un progetto di economia circolare su cui lavoriamo da alcuni anni. L’idea consiste nella possibilità di recuperare interamente gli scarti tessili di produzione generati dal taglio, per trasformarli in una “nuova materia prima seconda”, simile ad un’imbottitura, da utilizzare in differenti settori merceologici.

 

Un’ultima domanda, come diceva un famoso giornalista, sorge spontanea. Che cosa significa per voi essere una cooperativa?

Per noi diventare una cooperativa non era scontato; non conoscevamo quel mondo, nonostante il nostro fosse un territorio dove molti avevano un famigliare che lavorava in una cooperativa. L’entusiasmo delle persone che ci hanno proposto il progetto, ci ha portato ad avere una visione diversa del nostro lavoro e  ci ha fatto capire che potevamo realizzare qualcosa di bello unendo le forze. Abbiamo dovuto imparare tanto. E oggi, dopo tutti questi anni, posso dire che siamo noi soci lavoratori la vera forza della cooperativa. Noi che, in tempo di crisi, abbiamo accettato di fare i sacrifici più grandi pur di andare avanti; noi che consideriamo la passione per quello che facciamo la nostra effettiva ricchezza.    

 

Andrea Bernardini