La cooperativa Kilowatt di Bologna: lavoro e cultura che si integrano in armonia
<<“Cultura”, non è solo un’educazione intellettuale, ma soprattutto educazione delle emozioni e quindi dei comportamenti>>. Forse nessuno può comprendere queste parole dello psicoanalista Umberto Galimberti meglio degli 11 soci lavoratori della cooperativa Kilowatt, costituita a Bologna nel 2014. Sì, perché l’azienda emiliana, sin dalla sua nascita, si è andata configurando come un’impresa “coesiva”, capace di investire nella cultura, nella bellezza e nella sostenibilità, mantenendo un forte radicamento nella comunità e nel territorio di riferimento. Della cooperativa bolognese abbiamo parlato con Stefano Follador, presidente di Kilowatt.
Presidente Follador, per cominciare, ci può dire di che cosa si occupa la vostra cooperativa?
La nostra è una cooperativa di lavoro che opera nel settore culturale. È nata per contribuire alla rigenerazione di uno spazio pubblico abbandonato, le Serre dei Giardini Margherita a Bologna, trasformato in un community hub riconosciuto a livello nazionale ed internazionale. E questo grazie agli investimenti della cooperativa e al lavoro che abbiamo svolto, legato alla ricucitura dei legami con la comunità e alla “risignificazione” dello spazio. Ne è scaturita un’offerta culturale inclusiva, accessibile e fondata su una continua ricerca della qualità. Top Location nella Lonely Planet Italy, le Serre dei Giardini Margherita sono frequentate ogni anno da oltre 150.000 persone, a cui si aggiungono gli imprenditori, le imprese culturali e le startup che partecipano ai nostri percorsi d’incubazione dedicati a vari progetti ad alto impatto culturale, sociale e ambientale.
Per entrare un po’ più nello specifico, quali sono i servizi che offrite?
I servizi che offriamo sono molteplici. Qui ne possiamo citare solo alcuni. Ci occupiamo di produzione culturale, mettendo al centro della nostra attività la connessione tra ricerca artistica e sostenibilità ambientale, con tutto quello che ne consegue a livello di utilità pubblica. Attualmente il prodotto principale di questa attività è rappresentato dal “Resilienze Festival”, un festival ormai giunto alla sua sesta edizione, che vuole parlare delle grandi trasformazioni planetarie mostrando le interazioni e i legami tra ambiente, società, economia e cultura. Offriamo, poi, servizi di consulenza, formazione, progettazione e incubazione. Gestiamo, inoltre, l’asilo delle Serre, proponendo tutta una serie di servizi innovativi legati all’educazione e al welfare. Portiamo avanti, infine, un progetto di ristorazione sostenibile, caratterizzato da una grande attenzione per le materie prime, per i metodi di cottura e per le preparazioni artigianali, dove il cibo viene considerato, prima di tutto, un mezzo attraverso cui generare relazioni, esperienze e conoscenza.
Guardando alla storia quasi decennale della Kilowatt, quale crede sia stato il vostro punto di forza?
Direi l'aggregazione di competenze molto variegate e la capacità di tenere assieme sviluppo teorico e realizzazione pratica, creando un luogo dove lavoro e cultura potessero integrarsi in armonia, generando un impatto positivo a livello sociale ed ambientale.
Venendo all’oggi. Si può dire, senza tema di smentita, che siete diventati un punto di riferimento in materia di rigenerazione urbana a base culturale?
Direi di sì, proprio perché abbiamo sempre dimostrato di avere un occhio di riguardo per la cura delle relazioni, per la sostenibilità e per un approccio gestionale in grado di generare un impatto sulla collettività. Il nostro obiettivo principale è oggi quello di far dialogare creatività, arte e competenze tecniche, per promuovere modelli di sviluppo sostenibili ed inclusivi. Il nuovo progetto Serra Madre, finanziato anche da CFI, vedrà ancora una volta l’incontro tra ricerca teorica e sperimentazione pratica.
Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo, ha detto Peter Ferdinand Drucker. Il futuro della Kilowatt come lo vede?
Il nostro obiettivo è quello di trasformare le Serre in un centro di produzione artistica dove si incontrino ricerca, imprese, Terzo settore e comunità locale, attivando un laboratorio permanente capace di generare un pensiero critico e di immaginare soluzioni per la transizione ecologica. Un luogo, insomma, dove toccare con mano modelli di produzione alternativi e un nuovo equilibrio tra natura e cultura.
Un’ultima domanda, per concludere questa breve intervista. Che cosa significa, per voi, essere una cooperativa?
La risposta è molto semplice: adottare un modello organizzativo che non sia capitalistico e gerarchico.
Andrea Bernardini
Presidente Follador, per cominciare, ci può dire di che cosa si occupa la vostra cooperativa?
La nostra è una cooperativa di lavoro che opera nel settore culturale. È nata per contribuire alla rigenerazione di uno spazio pubblico abbandonato, le Serre dei Giardini Margherita a Bologna, trasformato in un community hub riconosciuto a livello nazionale ed internazionale. E questo grazie agli investimenti della cooperativa e al lavoro che abbiamo svolto, legato alla ricucitura dei legami con la comunità e alla “risignificazione” dello spazio. Ne è scaturita un’offerta culturale inclusiva, accessibile e fondata su una continua ricerca della qualità. Top Location nella Lonely Planet Italy, le Serre dei Giardini Margherita sono frequentate ogni anno da oltre 150.000 persone, a cui si aggiungono gli imprenditori, le imprese culturali e le startup che partecipano ai nostri percorsi d’incubazione dedicati a vari progetti ad alto impatto culturale, sociale e ambientale.
Per entrare un po’ più nello specifico, quali sono i servizi che offrite?
I servizi che offriamo sono molteplici. Qui ne possiamo citare solo alcuni. Ci occupiamo di produzione culturale, mettendo al centro della nostra attività la connessione tra ricerca artistica e sostenibilità ambientale, con tutto quello che ne consegue a livello di utilità pubblica. Attualmente il prodotto principale di questa attività è rappresentato dal “Resilienze Festival”, un festival ormai giunto alla sua sesta edizione, che vuole parlare delle grandi trasformazioni planetarie mostrando le interazioni e i legami tra ambiente, società, economia e cultura. Offriamo, poi, servizi di consulenza, formazione, progettazione e incubazione. Gestiamo, inoltre, l’asilo delle Serre, proponendo tutta una serie di servizi innovativi legati all’educazione e al welfare. Portiamo avanti, infine, un progetto di ristorazione sostenibile, caratterizzato da una grande attenzione per le materie prime, per i metodi di cottura e per le preparazioni artigianali, dove il cibo viene considerato, prima di tutto, un mezzo attraverso cui generare relazioni, esperienze e conoscenza.
Guardando alla storia quasi decennale della Kilowatt, quale crede sia stato il vostro punto di forza?
Direi l'aggregazione di competenze molto variegate e la capacità di tenere assieme sviluppo teorico e realizzazione pratica, creando un luogo dove lavoro e cultura potessero integrarsi in armonia, generando un impatto positivo a livello sociale ed ambientale.
Venendo all’oggi. Si può dire, senza tema di smentita, che siete diventati un punto di riferimento in materia di rigenerazione urbana a base culturale?
Direi di sì, proprio perché abbiamo sempre dimostrato di avere un occhio di riguardo per la cura delle relazioni, per la sostenibilità e per un approccio gestionale in grado di generare un impatto sulla collettività. Il nostro obiettivo principale è oggi quello di far dialogare creatività, arte e competenze tecniche, per promuovere modelli di sviluppo sostenibili ed inclusivi. Il nuovo progetto Serra Madre, finanziato anche da CFI, vedrà ancora una volta l’incontro tra ricerca teorica e sperimentazione pratica.
Il modo migliore per predire il futuro è inventarlo, ha detto Peter Ferdinand Drucker. Il futuro della Kilowatt come lo vede?
Il nostro obiettivo è quello di trasformare le Serre in un centro di produzione artistica dove si incontrino ricerca, imprese, Terzo settore e comunità locale, attivando un laboratorio permanente capace di generare un pensiero critico e di immaginare soluzioni per la transizione ecologica. Un luogo, insomma, dove toccare con mano modelli di produzione alternativi e un nuovo equilibrio tra natura e cultura.
Un’ultima domanda, per concludere questa breve intervista. Che cosa significa, per voi, essere una cooperativa?
La risposta è molto semplice: adottare un modello organizzativo che non sia capitalistico e gerarchico.
Andrea Bernardini